di Michele Porceddu

Ci troviamo in un clima culturale in cui ci si chiede pressoché quotidianamente quali professioni siano destinate a scomparire in seguito ai recenti sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale. Scrittori, artisti, traduttori; perfino i medici si sono recentemente trovati chiamati in causa in questo dibattito. Non sorprende, quindi, che lo stesso destino sia toccato agli psicoterapeuti.
Il 31 gennaio 2025 Internazionale ha infatti pubblicato, con la firma di Jess McAllen, un articolo intitolato “Il terapeuta artificiale”. L’autrice ci offre una variopinta – e sarcastica – rassegna degli strumenti di intelligenza artificiale (in questo caso denominati “chatbot”, poiché le interazioni avvengono attraverso lo scambio di messaggi di testo tramite applicazioni sullo smartphone) progettati per fornire psicoterapia – o presunta tale. Gli avatar sono di diversa natura: dal “classico” terapeuta con barba bianca e occhialetti, fino al panda con la cicatrice sul cuore, a indicare che sa cosa significhi soffrire.
Ma di cosa si tratta? Stiamo parlando di algoritmi “istruiti” per fornire risposte “empatiche” a chi scrive di trovarsi in un momento di difficoltà – anche se le risposte citate nell’articolo sono per certi versi comiche. Sono strumenti nati in un mercato in cui l’offerta di servizi di psicoterapia ci viene presentata come drammaticamente insufficiente rispetto alla domanda.
Bisogna fare una doverosa precisazione: il contesto di cui si parla è quello americano, in cui tutto ciò che riguarda le prestazioni sanitarie risponde a logiche diverse dalle nostre. Numeri alla mano, le differenze sono evidenti: negli Stati Uniti il prezzo di una seduta di psicoterapia va dai 275 ai 475 dollari l’ora, mentre in Italia si trovano facilmente professionisti con tariffe comprese tra i 50 e gli 80 euro. Per contrasto, uno dei servizi di “AI therapy” di cui si parla nell’articolo ha un costo di 5 dollari al mese (anzi, 4.99, perché si tratta pur sempre di un prodotto da vendere!) per ricevere 100 risposte e di 15 dollari al mese (naturalmente 14.99) per riceverne 400. MacAllen mostra come queste iniziative non rappresentino semplicemente soluzioni a buon mercato per persone in difficoltà e con scarsi mezzi materiali. Il sistema sanitario nazionale inglese e la Food and Drugs Administration americana avrebbero infatti iniziato a certificare e implementare l’utilizzo di strumenti AI nell’ambito della salute mentale.
L’autrice sottolinea le criticità a livello “macro” di questa impostazione: la sua natura schiettamente commerciale e i rischi connessi all’applicazione al campo della grave sofferenza psichica. Quali altri nodi clinici possiamo individuare?
Che ne sarà del silenzio?
I chatbot sono progettati per rispondere, e rispondere velocemente. Lo abbiamo appena visto: il costo degli abbonamenti è tarato non sul tempo o sulla frequenza di utilizzo, ma sul numero di risposte erogate. Anche volendo tralasciare l’aspetto sensoriale della voce – tutt’altro che trascurabile, in realtà – i silenzi, le latenze tra la domanda e la risposta (quando questa c’è, e non sempre c’è), sono anche spazi di riflessione, contemplazione, contatto affettivo con ciò che genera la domanda stessa.
La letteratura psicoanalitica (e non solo) ha maturato numerose riflessioni sull’importanza del silenzio nella psicoterapia. Per quanto il silenzio possa avere varie forme e sfumature (più o meno imbarazzanti o difficili da tollerare), è fondamentale per creare uno spazio in cui pensare.
La disponibilità costante è davvero d’aiuto?
Un aspetto essenziale nella promozione di questi strumenti è la componente on demand: niente liste d’attesa, appuntamenti da fissare, orari da rispettare. Lo scambio può avvenire in una stanza tranquilla, ma anche in fila al supermercato o su un mezzo pubblico. Questa strategia pubblicitaria, in fin dei conti, non differisce di molto da quelle utilizzate da alcuni noti brand di psicologia online, i quali si sono presentati con slogan come “tieni il tuo psicologo sempre in tasca” o “il tuo psicologo dove vuoi e quando vuoi”.
Proprio perché gli sviluppi tecnologici hanno reso possibile un accorciamento delle distanze precedentemente impensabile (pensiamo ai sistemi di messaggistica istantanea, ai social network e alle videochiamate), accettare le separazioni è una delle grandi sfide del nostro tempo. Il mito dell’on demand contribuisce a formare idealizzazioni e aspettative destinate a essere deluse nelle interazioni con altri esseri umani.
Cosa resta delle differenze?
Gli algoritmi non rispondono alla soggettività di chi li consulta, ma ai pattern linguistici che vengono utilizzati come prompt. Per questo faticano a comprendere giochi di parole, sarcasmo ed espressioni metaforiche. Non hanno modo di capire che la stessa espressione linguistica, usata da persone diverse, con tono di voce e tonalità affettive diverse, può voler dire molte cose. Ma dove può collocarsi un incontro terapeutico se non nelle pieghe di queste differenze?
La psicoterapia è un incontro tra individui, e chiama sempre in causa la soggettività del paziente e la sua storia nella loro unicità. Le risposte standardizzate, ad ampio spettro, valide su larga scala, sono l’antitesi della psicoterapia.
Gli psicoterapeuti saranno sostituiti dall’AI? by Michele Porceddu is licensed under CC BY-NC-SA 4.0